Da sempre dedita al lavoro – workaholic come direbbe qualcuno – a 42 anni sono diventata mamma. Mia figlia è nata a gennaio: a luglio dello stesso anno avevo in programma dei meeting di progetti europei di cui avevo la responsabilità in Polonia e a settembre in Bulgaria.
” Ci vediamo presto!” ho detto a colleghi e partners di progetto: “Ma si! Mi porterò dietro la pupa!”
…ovviamente non mi hanno più rivista. E nemmeno sentita un granchè.
La famosa pupa che volevo portare ai meeting mi ha assorbito completamente – anima e corpo- e per oltre 3 anni me la sono goduta completamente, senza rimorso alcuno verso colleghi e partners, certa che la mia assenza sul lavoro avrebbe favorito qualche nuovo giovane professionista.
Così è stato. Gli ex colleghi mi hanno anche ricercata con proposte concrete, che io ho declinato con una scusa o con l’altra: la verità era che ero felice di fare la mamma a tempo pieno.
Così, per un po’ sono uscita dal mercato del lavoro.
Due stipendi fanno certo più comodo di uno, ma io e mio marito abbiamo scelto di crescere nostra figlia in una famiglia e in una casa abitata, curandoci personalmente di lei, senza delegarla a famigliari o istituzioni esterne. Mio marito ha continuato a lavorare come prima e io mi sono dedicata a tempo pieno alla casa e alla famiglia.
Per la prima volta nella mia vita: i miei ex colleghi stentavano a crederci!
In famiglia ci siamo organizzati per gestire il lungo periodo con minori entrate, inventandoci modi alternativi per riequilibrare il reddito famigliare. Abbiamo ovviamente dovuto fare qualche sacrificio e qualche rinuncia: meno viaggi, sicuramente meno uscite serali, e siamo riusciti a sbarcare il lunario ugualmente.
Guardandolo adesso, è stato un periodo pazzesco che mi ha insegnato e arricchito moltissimo. Per dirla col linguaggio professionale, sono stata catapultata completamente fuori dalla mia “confort zone” del tailleur e dei meeting e ho acquisito molte nuove hard skills (cucinare, stirare, prendermi cura di una creatura h24). Ma soprattutto ho migliorato soft skills preziosissime come l’attenzione e l’ascolto empatico, il problem solving complesso, la capacità di prendere decisioni rapidamente e in autonomia, quasi tutte le life skills citate dal World Economic Forum tra le più importanti per il futuro.
Mi sono resa conto che nella mia vita precedente avevo sempre mantenuto una sorta di distanza rispetto alle donne impegnate “solo” nella gestione del menage famigliare e casalingo, alle prese con i bambini e con la cucina. Invece, dopo avere vissuto pienamente quella condizione e averne compreso la fatica ma anche la profonda gioia e autenticità, ho iniziato a pormi in maniera più tollerante e complice con le mamme e le casalinghe, comprendendone il valore e la versatilità.
Mia figlia ora frequenta la seconda classe della Scuola Primaria e io da alcuni anni ho ricominciato gradualmente ad avvicinarmi al lavoro, parallelamente alla sua crescita ed apertura al mondo esterno: scuola infanzia e scuola primaria poi. Quando lei è a scuola sono la dott.ssa Toso, quando lei è in casa vesto i panni di Mamma Lori.
Sono felice perché ho vissuto con lei i suoi primi anni di vita, ho imparato a gestire una famiglia, ho scoperto doti di resilienza che non sospettavo di avere e sono riconoscente al lavoro, che ho ripreso, con un rapporto meno claustrofobico ed esclusivo. Lavoro intellettuale e pratico si integrano e compensano a vicenda, rendendo le mie giornate più varie, meno a senso unico.
Ora sono orgogliosa del mio prezioso career break e aiuto le persone che sono in stand by a ritrovare una rotta positiva per il lavoro. Ecco perché in questo articolo ti spiegherò perché i periodi lontano dal lavoro possono essere preziosi e aumentare la spendibilità del tuo profilo professionale e la tua occupabilità.
Cosa è un career break e perché ci spaventa tanto
Il famigerato career break è letteralmente una pausa dal lavoro, un momento di allontanamento dalle imprese: il cosiddetto buco nel cv, quel periodo di inattività professionale che prima nascondevo e cercavo di minimizzare con vari escamotage nei curriculum vitae di tutte le persone che aiutavo a rientrare nel mercato del lavoro.
I career break sono periodi in cui scegliamo più o meno volontariamente di fermarci per accudire personalmente un famigliare (un figlio o un genitore). Sono momenti in cui rimaniamo senza occupazione in seguito alle famose fusioni, riorganizzazioni, o semplicemente chiusure o non continuazioni di contratti di lavoro, o semplicemente periodi in cui vogliamo fermarci e basta.
E’ successo a tutti e accadrà con sempre maggiore frequenza, quindi, tanto vale, iniziare a considerarne e apprezzarne il valore e le opportunità che apre.
Se, durante il mio periodo workholic non dormivo le notti per scegliere l’alternativa giusta al lavoro che avevo senza dover rimanere ferma, con l’ansia di rimanere fuori dal giro, adesso sono convinta del valore di allontanamenti temporanei dal lavoro.
Come disse tanti anni fa il mio professore di antropologia quando gli comunicai il mio abbandono al lavoro d’azienda: “Una volta uscita dalla scatola, vedrai meglio: l’importante è non farsi prendere dall’ansia!
La pausa dal lavoro si è rivelata preziosa per me: allontanandomi dal lavoro e dalla paura di perderlo, mi sono accorta delle cose che erano importanti per me e poco per volta sono riuscita a metterle insieme e a costruirmi il mio lavoro ideale, cercando e individuando gli interlocutori che preferivo.
7 motivi per valorizzare i career break
Vi indico di seguito 7 ragioni (ma sono molte di più) per apprezzare e valorizzare i career break, per cui le pause dal lavoro possono fare bene alle persone, ai professionisti, ma anche alle aziende:
- SI APPRENDONO NUOVE SOFT skills, le competenze più preziose ai giorni nostri e si diventa più resilienti e più forti. Nei periodi lontani dal lavoro ci dedichiamo a nuove attività, acquisendo nuove competenze e scoprendo magari che ci sono attività per noi piacevoli, molto diverse dalla nostra professionalità. Durante i periodi di cura delle persone si acquisiscono doti di empatia, attenzione all’altro, gestione del tempo, delle priorità, problem solving complesso, responsabilità. SI tratta di competenze di gran valore, che vanno valorizzate e comunicate nel modo corretto, strategiche anche una volta tornati in azienda. Anche LinkedIn da qualche mese offre la possibilità di inserire nel proprio profilo i career break, scegliendo tra una lista di opzioni possibili e consentendo di descrivere e dettagliare le attività svolte nel periodo lontano dal lavoro. Le opzioni previste sono: Lutto / ricollocamento professionale / assistenza al prossimo / genitorialità a tempo pieno / anno sabbatico / licenziamento, posizione lavorativa eliminata / salute e benessere / perseguimento di uno scopo personale / sviluppo professionale / trasferimento / pensione / viaggi / volontariato. Si tratta di una ottima iniziativa per dare spazio all’autenticità del proprio vissuto e dimostrare le competenze e abilità apprese lontano dalle organizzazioni.
- Si ritrova NUOVA ENERGIA e SLANCIO PROFESSIONALE. Tornati al lavoro siamo molto PIU’ MOTIVATI, abbiamo maggiore VOGLIA DI LAVORARE: è come quando torniamo a casa dopo una vacanza, pieni di buoni propositi e desiderio di attivarci. Conquistiamo un rapporto più positivo ed equilibrato col lavoro- del quale abbiamo sentito a mancanza e diventiamo portatori di idee nuove. Quando si torna al lavoro dopo una pausa si ha una tale carica che non solo ne beneficiano le persone, ma anche le organizzazioni. Senza contare che in alcune situazioni, le interruzioni dal lavoro consentono di uscire da circoli viziosi del burnout: spesso i professionisti hanno difficoltà a disconnettersi e ad allontanarsi dal loro lavoro per timore di perdere influenza, potere, e così si logorano e non sono felici. Ma allontanati dalla fonte del disagio rifioriscono.
- UP-SKILLING e RE-SKILLING! I periodi in cui non lavoriamo sono ottimi per riqualificare il nostro curriculum, per aggiornarci con nuove competenze. Al giorno d’oggi il concetto di longlife learning – l’apprendimento continuo, l’apprendimento lungo tutto il corso della vita- è davvero essenziale per restare al passo e per offrire al prossimo datore di lavoro le skills più aggiornate nel proprio settore. Oggi abbiamo a nostra disposizione abbiamo tantissime risorse gratuite o quasi – le OER (Open Educational Resources), una miriade di corsi di aggiornamento e specializzazione di cui io stessa ero all’oscuro prima di prendermi una pausa dal lavoro.
Una cara amica, da esperta della comunicazione, durante il career break seguito alla maternità, ha avuto il coraggio di prendersi la laurea in naturopatia, approfondendo tematiche a lei sempre care e si è riqualificata con successo come naturopata, aprendo p.iva e offrendo le sue consulenze a chi ne ha bisogno, con gran soddisfazione professionale e personale.
E tu: vuoi lasciare la tua testimonianza su come ti sei riqualificato o raccontare di qualche esempio di tua conoscenza?
L’offerta formativa attuale non prevede più – come un tempo – la presenza a tutti i costi – e molto spesso è possibile formarsi e riformarsi da casa, organizzando al meglio il proprio tempo. Per maggiori informazioni date un’occhiata a: www.udemy.com – www.coursera.org, www.mooc.org. Scoprirete un mondo di opportunità da cogliere. - Si cambia prospettiva, si cambiano frequentazioni, discorsi, si esce dalla propria zona di confort, sviluppando UN MINDSET DIFFERENTE. Si diventa più umili, più tolleranti, si vedono le cose nella giusta prospettiva. Ci si rende conto della futilità delle invidie per un aumento di stipendio al collega non meritevole. Si impara a guardano le cose da punti diversi, si guadagna quella prospettiva da lontano che consente di visualizzare in maniera più completa le situazioni e trovare soluzioni inedite. Inoltre, si aumenta e diversifica il proprio network amicale, ci si confronta con persone diverse, ci si arricchisce di punti di vista originali: ci si rende conto che esiste un mondo al di fuori del nostro e che forse la nostra visione non era completa. Il cambiamento è sano.
E proprio come ci insegna il metodo dei 6 Cappelli di De Bono: osservare e analizzare le situazioni da più punti di vista e con più strumenti è utilissimo per trovare traiettorie originali alle quali non avevamo mai pensato e che si rivelano invece percorribili.
Gli anglosassoni sono più abituati a prendersi career break di noi anche solo per viaggiare, fare esperienze ed acquisire quell’elasticità mentale e apertura di vedute che è essenziale nel lavoro. Basta saperlo dimostrare- LEGGI IL MIO POST SU COME VALORIZZARE I BUCHI NEL CV! - CAMBIO DI ROTTA. Un career break può aiutarci a prendere consapevolezza che il lavoro che svolgevamo non faceva più al caso nostro. Conosco diverse persone che durante il Covid, a contatto con loro stessi hanno optato per un allontanamento dal lavoro e decisioni anche drastiche: trasferimenti, cambi importanti.
Il fenomeno della Great Resignation, l’aumento esponenziale delle dimissioni volontarie registrate dal periodo della pandemia preoccupa le imprese. Ricerche condotte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e psicologi. Da uno studio di McKinsey del 2021 si apprende che il 40% dei lavoratori a livello mondiale desidera cambiare posizione nei prossimi mesi. In Italia, solo tra aprile e giugno 2021 sono state registrate quasi 500.000 dimissioni volontarie. Allontanarci dal tran tran quotidiano e riflettere su noi stessi può aiutarci a riconoscere i nostri bisogni e le nostre vocazioni e portarci ad un cambio di rotta.
Ho una amica cara che ha sempre lavorato nell’analisi dei dati un lavoro un po’ da nerd: tabelle, grafici, ricerca, progettazione. Dopo la laurea in scienze politiche e un dottorato di ricerca in sociologia, ha iniziato l’analisi dei dati sociali che ha portato avanti per 15 anni senza troppo entusiasmo. Dopo la nascita del figlio e un career break legato ad un trasferimento portato dal nuovo lavoro del marito, in un paese di lingua incomprensibile, si è dedicata con soddisfazione all’attività di epilazione (si, proprio la ceretta!) per donne, riqualificandosi presso una scuola di estetica e trovando successivamente una occupazione presso un beauty centre di una professionista islandese. L’ultima volta che l’ho vista – e che sono stata cavia per un nuovo prodotto per l’epilazione – mi ha confessato: “Sai Lori, questo lavoro mi rilassa proprio. Tante volte mi ero detta che volevo fare l’estetista, ma sai… con una laurea e un dottorato, mi sembrava di buttare all’aria anni di studio”.
Mio fratello maggiore, da sempre uomo di azienda a 55 anni è stato allontanato dall’impresa e non è più riuscito a collocarsi nel mondo aziendale. Dopo qualche mese di confusione, disorientamento e pausa di riflessione, è convenuto sul fatto che, sin da piccolo, ha sempre avuto interesse per i motori e che la guida ha rappresentato un costante elemento di rilassamento e svago per lui: quindi ha acquistato una auto e una licenza e ora si propone come autista ncc (noleggio con conducente), portando a destinazione clienti italiani e stranieri.
E tu? Conosci persone che hanno cambiato completamente il tipo di lavoro dopo una pausa di riflessione?
Infine, se presentato e valorizzato correttamente, un career break può dare informazioni importanti rispetto al candidato all’azienda che assume, perché denota un senso di responsabilità, autonomia, coraggio, resilienza, capacità di rilancio, tenacia e motivazione, tutte skills molto preziose per un professionista. - Si diventa più SELF CONFIDENT. Se vissuto in maniera positiva, un periodo lontano dal lavoro aiuta a relativizzare il ruolo del lavoro nella propria vita. Per alcuni il lavoro diventa la propria vita: il ruolo che si ricopre determina le frequentazioni, la propria autostima, l’immagine che si ha di sé. Per questo si ha paura a lasciarlo…per perdere se stessi. Ma ognuno di noi è ben di più del lavoro che svolge, del ruolo che ricopre. Siamo persone prima che professionisti. Lontano dal lavoro si ha l’opportunità di dedicare più attenzione a se stessi, alle persone accanto a noi e anche gestione delle risorse economiche proprie o della famiglia. Si pone attenzione non solo al modo in cui le risorse entrano, ma anche ai modi in cui esse escono, realizzando che spesso parecchie risorse vengono spese senza attenzione e spirito critico. Conosco famiglie che spendono gran parte delle risorse economiche guadagnate con orari di lavoro alienanti (8-20) per pagare baby sitter, badanti, corsi di formazione e corsi sportivi, delegando i propri affetti ad altri mentre passano il tempo in azienda… ma questo è un altro discorso lungo. Tornando a bomba, lontano dal lavoro ci si ingegna per fare altri lavori, dedicarsi a lavori prima delegati e si scoprono nuove risorse.
- Infine, se presentato e valorizzato correttamente, un career break può dare informazioni importanti rispetto al candidato all’azienda che assume, perché denota un senso di responsabilità, autonomia, coraggio, resilienza, capacità di rilancio, tenacia e motivazione, tutte skills molto preziose per un professionista.
In conclusione, un allontanamento dal lavoro non preclude un riavvicinamento. Una volta usciti dal mercato del lavoro, anche per un periodo lungo, si può rientrare, con un abito nuovo, un rinnovato spirito e magari una professionalità diversa. Non è vero che a 40-50 anni non ci vuole nessuno. Certo, dobbiamo inserire l’esperienza di allontanamento nel cv spiegandola e valorizzandola opportunamente. Solo così potremo spiegare come quel periodo lontano dal lavoro ci ha reso professionisti e persone migliori e più occupabili.